giovedì 5 gennaio 2012

Noi e il cibo

Parlare del rapporto che la gente ha con il cibo non è semplice, da un lato perché io per primo non sono un medico specializzato in alimentazione, secondo perché ogni situazione va considerata nella sua interezza e quello che può essere un comportamento errato per un soggetto può essere il comportamento adatto in quel momento per un’altra persone. A questo si potrebbe aggiungere che i due casi “limite” di rapporto non corretto con il cibo (anoressia da un lato e obesità dall’altro, nelle loro varie sfacettature) basterebbero da soli per scrivere decine e decine di libri.
Il mio pensiero ora – e il senso di questo post – va ai momenti nei quali capiamo che il nostro rapporto con il cibo sta prendendo una direzione sbagliata. Al momento in cui, per esempio, entri al supermercato solo per comprare una confezione di merendine o un pacco di biscotti da divorare appena torni in macchina. E dopo aver svuotato la confezione o il pacco ti accorgi che non è cambiato nulla (e sto parlando per esperienza diretta). Purtroppo. Oppure la famosa voglia di cioccolata o di Nutella. Trappola, questa, forse un po’ più sottile: inizi un giorno con qualche cracker e un po’ di cioccolata. Fai lo stesso il giorno dopo. Il giorno dopo ancora la quantità di cioccolato aumenta. E così via.
Si è parlato a lungo della relazione cioccolata – buonumore legata al fatto che il cioccolato stimola la secrezione di serotonina, l’ormone c.d. della felicità. Legame che io per primo riconosco come esistente, ma che potrebbe portare a fare l’errore di “delegare” la propria felicità al cioccolato. “
“Mangio un po’ di cioccolato in sostituzione di quello che non ho”(una relazione affettiva con qualcuno). La situazione è sotto controllo se questa cosa è saltuaria. Nel momento in cui diventa un’abitudine inizia a diventare pericolosa. L’eccesso di zuccheri nel sangue porta, per dirne una, al rischio di diabete e aumenta le possibilità di infarto. Il pericolo si muove su due binari: uno prettamente fisico (il nostro corpo) e uno più “psicologico” (ricorrere al cibo per coprire dei vuoti che abbiamo dentro di noi, ma che sappiamo benissimo non verranno colmati dalle merendine o dai biscotti).
Ed è a quel punto che dobbiamo capire (da soli o con l’aiuto di qualcuno) che la nostra felicità dipende solo da noi. Chi entra in questo circolo vizioso inizia pian piano ad aumentare di peso. All’inizio qualche chilo non spaventa, “posso smaltirlo subito” ci si dice, poi i chili diventano cinque…iniziano a diventare dieci…e il giorno giusto per smettere è sempe “domani”. A questo si aggiungono pensieri come “oggi posso mangiare come voglio, DOMANI mi metto a dieta” e quando DOMANI arriva si trova una scusa per rimandare ulteriormente, assieme al fatto che dentro di noi ci diciamo di aver fallito. Ed ecco che usiamo il cibo stesso come “punizione”.
E’ un post, questo, che purtroppo sta prendendo “una vita propria” perché l’argomento è talmente vasto che sarebbe impossibile ridurlo ad una ventina di righe.
Il messaggio che vorrei arrivasse è che così come il problema è arrivato allo stesso modo possiamo farlo andar via: o da soli, se riusciamo a gestire la situazione, o con l’aiuto di persone competenti se riteniamo di non farcela da soli. Non permettiamo che il cibo condizioni la nostra vita.

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