Parlare
del rapporto che la gente ha con il cibo non è semplice, da un lato
perché io per primo non sono un medico specializzato in alimentazione,
secondo perché ogni situazione va considerata nella sua interezza e
quello che può essere un comportamento errato per un soggetto può essere
il comportamento adatto in quel momento per un’altra persone. A questo
si potrebbe aggiungere che i due casi “limite” di rapporto non corretto
con il cibo (anoressia da un lato e obesità dall’altro, nelle loro varie
sfacettature) basterebbero da soli per scrivere decine e decine di
libri.
Il
mio pensiero ora – e il senso di questo post – va ai momenti nei quali
capiamo che il nostro rapporto con il cibo sta prendendo una direzione
sbagliata. Al momento in cui, per esempio, entri al supermercato solo
per comprare una confezione di merendine o un pacco di biscotti da
divorare appena torni in macchina. E dopo aver svuotato la confezione o
il pacco ti accorgi che non è cambiato nulla (e sto parlando per
esperienza diretta). Purtroppo. Oppure la famosa voglia di cioccolata o
di Nutella. Trappola, questa, forse un po’ più sottile: inizi un giorno
con qualche cracker e un po’ di cioccolata. Fai lo stesso il giorno
dopo. Il giorno dopo ancora la quantità di cioccolato aumenta. E così
via.
Si
è parlato a lungo della relazione cioccolata – buonumore legata al
fatto che il cioccolato stimola la secrezione di serotonina, l’ormone
c.d. della felicità. Legame che io per primo riconosco come esistente,
ma che potrebbe portare a fare l’errore di “delegare” la propria
felicità al cioccolato. “
“Mangio
un po’ di cioccolato in sostituzione di quello che non ho”(una
relazione affettiva con qualcuno). La situazione è sotto controllo se
questa cosa è saltuaria. Nel momento in cui diventa un’abitudine inizia a
diventare pericolosa. L’eccesso di zuccheri nel sangue porta, per dirne
una, al rischio di diabete e aumenta le possibilità di infarto. Il
pericolo si muove su due binari: uno prettamente fisico (il nostro
corpo) e uno più “psicologico” (ricorrere al cibo per coprire dei vuoti
che abbiamo dentro di noi, ma che sappiamo benissimo non verranno
colmati dalle merendine o dai biscotti).
Ed
è a quel punto che dobbiamo capire (da soli o con l’aiuto di qualcuno)
che la nostra felicità dipende solo da noi. Chi entra in questo circolo
vizioso inizia pian piano ad aumentare di peso. All’inizio qualche chilo
non spaventa, “posso smaltirlo subito” ci si dice, poi i chili
diventano cinque…iniziano a diventare dieci…e il giorno giusto per
smettere è sempe “domani”. A questo si aggiungono pensieri come “oggi
posso mangiare come voglio, DOMANI mi metto a dieta” e quando DOMANI
arriva si trova una scusa per rimandare ulteriormente, assieme al fatto
che dentro di noi ci diciamo di aver fallito. Ed ecco che usiamo il cibo
stesso come “punizione”.
E’
un post, questo, che purtroppo sta prendendo “una vita propria” perché
l’argomento è talmente vasto che sarebbe impossibile ridurlo ad una
ventina di righe.
Il
messaggio che vorrei arrivasse è che così come il problema è arrivato
allo stesso modo possiamo farlo andar via: o da soli, se riusciamo a
gestire la situazione, o con l’aiuto di persone competenti se riteniamo
di non farcela da soli. Non permettiamo che il cibo condizioni la nostra
vita.
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